lunedì 20 ottobre 2014

Il Cavaliere d'Inverno di Paullina Simons

L'amore e la passione ai tempi della guerra

a cura di Dora

Tempo fa mi è stato chiesto di consigliare ad un'amica un romanzo. Per qualche strana ragione un titolo in particolare mi è subito balenato in mente, Il Cavaliere d'Inverno di Paullina Simons. Ho pensato quindi di estendere il mio consiglio su “vasta scala”, primo perché trovo che sia un romanzo davvero molto bello e ben scritto, secondo perché questo mi permette di parlare ampiamente della storia, che non fa mai male.
Il Cavaliere d'Inverno è il primo romanzo di una trilogia composta da Tatiana e Alexander e Il Giardino d'Estate (per l'Italia in edizione BUR). Vado matta per le storie che abbracciano un arco di tempo molto ampio, più hanno da raccontare meglio è, mi piace perdermi nei dettagli soprattutto quando questi riguardano un determinato periodo storico o una città particolare, non soltanto sentimenti, emozioni o i rapporti tra le persone.
In questo romanzo c'è davvero tutto e non scherzo. C'è un periodo storico travagliato, la Seconda Guerra Mondiale, c'è la Russia, e in particolare Leningrado, un paese distrutto dagli avvenimenti bellici e spezzato come i corpi dei soldati caduti in battaglia. C'è la fame e c'è il dolore. C'è la rassegnazione di fondo che solo chi vive durante un conflitto può provare. Ci sono ragazzi cresciuti troppo presto, che moriranno ancora prima di diventare uomini, famiglie divise che non sembrano poter andare avanti, che si trascinano come l'ultimo raggio di sole di fine estate che si spegne proprio lì, alle porte dell'inverno. 
E poi c'è Tatiana. E c'è Alexander.
Lei poco più di una ragazzina dai capelli biondi e la pelle chiara. Lui un soldato dell'armata rossa, un uomo fatto e finito, dal passato tormentato.
Sembrano essere così diversi che nemmeno il destino può essere tanto folle da farli incontrare. Eppure si incontrano, proprio in un giorno qualsiasi di quella lunga estate che inizia a spegnersi quasi come la fiamma di una tremolante candela.
Si incontrano e si innamorano, ma l'amore non sembra essere fatto per la Leningrado del 1941, non dopo l'annuncio radiofonico dell'invasione tedesca. Non con i bombardamenti che aprono il cielo notturno facendo rimbombare l'aria. 
Forse, però, è l'amore la sola chiave per arrivare fino in fondo a una guerra che non risparmierà nessuno o, forse, sono solo Alexander e Tatiana ad aver bisogno di credere che quel loro amore basterà a proteggere tutto ciò che è a loro più caro come uno scudo impenetrabile.
In uno scenario fatto di morte e disperazione, Tatiana e Alexander provano a vivere quel sentimento che li unisce, ma che immancabilmente viene messo alla prova, non solo dalla guerra.

Per saperne di più sui libri e sull'autrice potete consultare il Sito Ufficiale di Paullina Simons, oppure un blog italiano dedicato alla scrittrice e ai suoi romanzi!
Intanto, per farvi venire l'acquolina in bocca, ecco un estratto dalle prime pagine del romanzo...

Buona lettura!

LIBRO PRIMO
LENINGRADO

Parte Prima
Il Diafano Crepuscolo
Capitolo 1
Campo di Marte
1

La luce del mattino entrò dalla finestra e inondò l’intera stanza. Tatiana Metanova dormiva il sonno dell’innocenza, della gioia irrequieta, delle calde notti bianche di Leningrado, del giugno profumato di gelsomino. Ebbra di vita, dormiva il sonno dell’intrepida giovinezza.
Non durò a lungo.
Quando i raggi del sole attraversarono la stanza fino ad arrivare ai piedi del letto, Tatiana si tirò le lenzuola sulla testa nel tentativo di tenere lontano il giorno incombente. La porta si aprì e il pavimento scricchiolò. Era Dasha, la sorella
maggiore.
Dasha, Dasha, Dashenka, Dashka.
La persona a cui Tatiana voleva più bene al mondo.
Ma in quel momento avrebbe voluto strangolarla. Dasha aveva deciso di svegliarla, e purtroppo riuscì nel suo intento. La scosse con le sue mani energiche e sibilò: “Psst!
Tania! Svegliati. Svegliati!”
Tatiana grugnì e la sorella sollevò il lenzuolo.
I sette anni di differenza tra loro non erano mai stati più evidenti come in quel momento in cui Tatiana voleva dormire, e Dasha, invece...
“Smettila”, borbottò, cercando di coprirsi di nuovo. “Non vedi che sto dormendo? Chi sei tu? Mia madre?”
La porta si aprì. Il pavimento scricchiolò ancora. Stavolta era davvero sua madre.
“Tania, sei sveglia? Alzati immediatamente.”
Non si poteva certo dire che avesse una voce melodiosa. Trina Metanova mancava di ogni dolcezza. Era piccola, energica, irascibile. Probabilmente aveva appena finito di lavare il bagno comune, inginocchiata a terra con il grembiule blu, e aveva ancora il fazzoletto in testa. La domenica la distruggeva.
“Cosa c’è, mamma?” chiese Tatiana, senza sollevare la testa dal cuscino. I capelli di Dasha, che si stava chinando per darle un bacio, le sfiorarono la schiena. Quel momento di tenerezza fu interrotto dalla voce stridula della madre.
“Alzati subito. Tra poco la radio darà un annuncio importante.”
“Dove sei stata, stanotte? Sei tornata molto più tardi dell’alba”, sussurrò Tatiana.
“Cosa ci posso fare se il sole sorge a mezzanotte? Sono tornata a quell’ora, e mi sembra più che rispettabile.” Sorrise.
“Dormivate già tutti.”
“L’alba è alle tre, e a quell’ora tu non eri ancora a casa.”
“Dirò a papà che, quando hanno alzato i ponti, sono stata sorpresa dall’altro lato del fiume.”
“Sì, brava. Spiegagli cosa stavi facendo sull’altra riva del fiume alle tre del
mattino.” Tatiana si voltò a guardarla. Quella mattina l’aspetto di Dasha la colpì in modo particolare: i capelli neri erano spettinati e grandi occhi scuri, che spiccavano su quel bel viso, mutavano continuamente espressione. In quel momento esprimevano una sorta di allegra esasperazione. Anche Tatiana era esasperata, ma era tutt’altro che allegra. Voleva solo continuare a dormire.
Lesse l’inquietudine sul volto della madre intenta a togliere le coperte dal divano.
“Quale annuncio?” ripeté.
“Tra pochi minuti il governo trasmetterà un comunicato. È tutto quello che so”, rispose la madre rassegnata.
Suo malgrado Tatiana era ormai del tutto sveglia. Un comunicato. Accadeva di rado che la musica venisse interrotta da un annuncio del governo.
“Forse abbiamo invaso di nuovo la Finlandia.” Si strofinò gli occhi.
“Zitta”, l’ammonì sua madre.
“O forse sono loro che hanno invaso noi. Rivogliono indietro i confini che hanno perduto l’anno scorso.”
“Non siamo degli invasori”, intervenne Dasha. “L’anno scorso siamo andati a riprendere i nostri confini. Quelli che avevamo perduto nella Grande Guerra. E dovresti smetterla di ascoltare le conversazioni degli adulti.”
“Non abbiamo perso i nostri confini”, ribadì Tatiana. “Il compagno Lenin li aveva ceduti di sua spontanea volontà.”
“Tania, non siamo in guerra con la Finlandia. Esci dal letto.” Lei si mosse. “E la Latvia, allora? La Lituania? La Bielorussia? Non è forse vero che ci siamo
impadroniti di quelle terre dopo il patto dell’anno scorso tra Hitler e Stalin?”
“Tatiana Georgievna, smettila!” Quando voleva farle capire che non era in vena di scherzare sua madre la chiamava col nome di battesimo seguito dal patronimico.
Tatiana assunse un’aria seria. “Cos’altro resta? Abbiamo già metà della Polonia.”
“Ho detto basta! Ne ho abbastanza dei tuoi giochetti. Giù dal letto. Dasha Georgievna, tira fuori tua sorella dal letto!” Dasha non si mosse.
La madre uscì dalla stanza brontolando.
Dasha si voltò di scatto verso la sorella e sussurrò in tono cospiratorio: “Devo dirti
una cosa”.
“Bella o brutta?” Dasha non le parlava quasi mai della sua vita da adulta.
“Una cosa straordinaria. Mi sono innamorata!”
Tatiana si lasciò cadere indietro sul letto levando gli occhi al cielo.
“Smettila!”, esclamò la sorella, saltandole addosso. “È una cosa seria.”
“Sì, d’accordo. L’hai conosciuto ieri quando hanno alzato i ponti?”
“Ieri è stata la terza volta.”
Tatiana scosse la testa. La gioia di Dasha era contagiosa.
“Vuoi lasciarmi stare?”
“No, non posso lasciarti stare.” Cominciò a farle il solletico. “Non finché non mi dici che sei felice per me.”
“Perché dovrei dirlo?” obiettò Tatiana con un sorriso. “Non sono felice. Smettila! Perché dovrei essere felice? Io non sono innamorata. Adesso piantala.”
La madre tornò in camera con un vassoio con sei tazze e un samovar d’argento.
“Smettetela subito, voi due. Mi avete sentita?”
“Sì, mamma”, disse Dasha, che continuava a fare il solletico alla sorella.
“Ahi!” gridò Tatiana. “Mamma, ho paura che mi abbia rotto le costole.”
“Fra poco vi romperò qualcos’altro io. Siete tutte e due troppo grandi per questi
giochi.”
Dasha fece la linguaccia.
“Davvero troppo grandi”, commentò Tatiana. “Ma la nostra mammina non sa che tu hai solo due anni.”
Dasha rimase con la lingua fuori. Tatiana allungò la mano e gliel’afferrò. Al grido stridulo della sorella la lasciò andare...

(© Paulinna Simons, Il Cavaliere d'Inverno, edizioni Bur – tutti i diritti riservati)

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