lunedì 28 luglio 2014

Ritratti d'Autore

Albert Camus e la rivolta dell'animo umano

a cura di Dora



Parlare dei grandi classici della letteratura non è mai facile. Che cosa mai si può dire che non sia già stato detto? Quali parole si potrebbero usare per cercare di descrivere la bellezza di qualcosa che tutti sanno essere effettivamente magnifico, senza tempo, quasi perfetto? È un po' come parlare delle grandi band che hanno fatto la storia della musica: possono non piacerti, ma di certo ne cogli la grande importanza storica, quella che poi ha influenzato tutto un genere, una corrente, un filone e non cambia certo quando è di un romanzo che si parla.
Ho pensato tanto a quale classico proporre e tantissime sono state le mie lotte interiori che mi hanno spinta verso questo o quell'autore. Poi, la rivelazione. Nel corso della mia vita, anche un po' per il percorso universitario che ho scelto, mi sono imbattuta in tantissimi scrittori e drammaturghi che hanno davvero fatto la storia, reinventato le regole, modificato la percezione di un sentire comune, ribaltando ogni cosa, perfino le lettere, alla propria volontà e ho capito di chi avrei voluto parlare, forse anche perché è qualcuno che non tutti conoscono.
Si tratta di Albert Camus, uno scrittore e drammaturgo francese, ma anche un filosofo e un pensatore, un saggista di grande fama e soprattutto dalla grande profondità morale e intellettuale.
Mi sono imbattuta in lui quasi per caso durante un corso di storia del teatro francese. Non avrei mai scelto questo esame, nel mio piano di studi era previsto uno a scelta tra teatro russo, spagnolo, inglese, tedesco e, appunto francese, ma mai mi sarei indirizzata su quest'ultimo, forse perché non ho mai avuto un grandissimo rapporto con questa parte di Europa che non ha mai esercitato su di me chissà quale strano fascino. Il destino, si sa, opera in modi che nessuno può capire o conoscere e io mi sono ritrovata così a seguire un corso che non volevo, nella maniera più assoluta, seguire, con un programma di cui non capivo nulla perché era tutto in francese (e io, ovviamente, non conosco mezza parola della lingua...) e con autori mai sentiti nominare in tutta la mia vita: insomma, premesse non edificanti e percorso decisamente tortuoso per me, povera studentessa decisa a finire il più velocemente possibile la sua laurea magistrale.
Date queste premesse penso non sarà difficile per voi immaginare il mio stato d'animo il giorno della prima lezione: sveglia prestissimo per arrivare in università, voglia non propriamente ai massimi livelli, dubbi e ripensamenti, ma soprattutto una gran voglia di ottenere l'abilitazione per il dono dell'ubiquità per essere presente ad un altro corso (quello di letteratura inglese) che, ovviamente, non potevo frequentare perché la mia presenza era richiesta altrove...quando si dice la sorte.
Ovviamente non sarei qui a scrivere di tutto questo se non ci fosse stata una svolta inattesa. E c'è stata, posso garantirvelo, ma soprattutto posso cercare di spiegarvi quello che è successo, magari provando perfino a passarvi il mio amore per un autore che ero ben decisa ad odiare per partito preso sulla scia di un disinteresse ingiustificato che, però, sono contenta si sia trasformato in qualcosa di decisamente più piacevole.
Di professori davvero bravi e preparati nel loro campo ce ne sono: forse sono pochi, alcuni magari si nascondono in qualche angolino sperduto del mondo, ma sono convinta che esistano e che più o meno a tutti sia capitato di incontrarne almeno uno durante il proprio percorso formativo. Io sono stata fortunata e ne ho avuti diversi, ma quella che ricordo con più affetto e ammirazione è la docente di storia del teatro francese che è stata così brava da farmi appassionare a qualcosa che, stupidamente, avevo deciso di non apprezzare pur non conoscendo nulla di quell'argomento.
La scintilla è scattata subito, dalla prima lezione, forse perché Camus è un autore dal temperamento moderno (dopotutto nasce nel 1913 e muore nel 1960, anni comunque non troppo lontani da noi), che tratta argomenti decisamente contemporanei pur riuscendo a dar loro caratteristiche senza tempo, quasi assolute.
Ho scelto di parlare di lui anche per questo motivo, perché credo sia impossibile non cogliere la sua attualità nonostante sia un autore forse più di nicchia rispetto ad altri dei quali si sente parlare, forse, più spesso.
Non mi dilungherò certo in una descrizione minuziosa delle sue opere, sono tante e tutte complesse e non basterebbero ore per dire qualcosa su tutte, né ho intenzione di annoiarvi su vuote questioni riguardanti lo stile o la parte tecnica del suo lavoro: questa non è una lezione universitaria, non ci sono voti e state pur certi che non vi interrogherò una volta che avrete finito di leggere, ma di certo spero che le mie parole vi abbiano interessato a tal punto da spingervi a fare anche una mini ricerca su google riguardo l'argomento (dopotutto è questo lo scopo di una rubrica di libri, non credete?!).
Quello che però voglio sicuramente dirvi è che Camus è il maestro dell'assurdo, ma anche della ribellione ed è forse questo che lo rende così affascinante agli occhi di chi legge, perché la vita è sì assurda con tutte le sue contraddizioni, il suo malessere, con quella sua costante presenza di elementi che la rendono a volte difficile perfino da vivere, ma non per questo noi dobbiamo essere passivi davanti ad essa. Ci dobbiamo ribellare, dobbiamo almeno tentare di contrastare questa assurdità, siamo chiamati a prendere in mano le redini della situazione e, magari, perfino a cambiare le sorti della nostra esistenza.
È questo che fa Caligola, il personaggio che forse più di tutti incarna pienamente questo concetto, l'essenza stessa del lavoro di Camus, bilanciando alla perfezione due aspetti fondamentali presenti in tutti i lavori dello scrittore: da una parte la bellezza (per tradizione, l'imperatore Caligola è orrendo nell'aspetto e nelle azioni) capace di riscattare l'essere umano, dall'altra il perpetuo tentativo  di rivoltarsi contro l'assurdità della vita per darle, in qualche modo, senso e valore.
Caligola è un testo teatrale che fa riferimento alla Vita dei dodici Cesari di Svetonio, ma a quest'opera Camus dà solo una rapida occhiata, getta solo un fugace sguardo e non è altro che un piccolo punto di partenza per creare un personaggio, e una storia, dagli esiti estremi, dai contorni apparentemente netti e precisi, dagli esiti quasi scontati che puntano a condannare definitivamente le azioni malvagie di un imperatore che sembra essere incapace di governare in modo giusto, con la rettitudine che si confà ad un sovrano romano.
Il problema, che poi è il perno di tutta la vicenda, è che Caligola è estremamente consapevole dell'assurdità dell'esistenza umana, l'ha vista dipinta negli occhi morti della persona che più ha amato nella sua vita e in virtù di questa consapevolezza, decide di vivere la sua vita portando le sue azioni fino all'estremo limite del consentito, spingendosi poi anche oltre.
È una tragedia dell'intelligenza, o anche di una lucida follia: non è Caligola il folle, l'uomo senza più il senno, bensì è proprio lui il solo ad aver capito e compreso una cosa fondamentale: gli uomini muoiono e non sono felici e questo perchè sono inerti, statici, perché non hanno il coraggio di ribellarsi alla loro condizione.
Caligola lo fa, o almeno ci prova, e per questo viene considerato un mostro, ma lui non è altro una persona che si mostra, che si mette a nudo e che solo attraverso un dialogo con se stesso, in un mirabile gioco di specchi che mette in scena la duplice essenza della sua anima tormentata, riesce a capire che la vita vale la pena essere vissuta solo ed unicamente se ci si mette in gioco.
Il passo più bello di tutto il dramma, quello che forse mi ha fatto davvero amare il personaggio e anche tutto il lavoro fatto da Camus, è quello che ho deciso di riportare integralmente facendo parlare più l'autore che me stessa. 
A voi scegliere se vale la pena leggere o meno un autore di questo genere, capace di mettere a nudo in modo così spiazzante le debolezze del cuore umano, ma spero davvero che diate a Camus una possibilità (se già non vi è capitato di imbattervi nei suoi scritti che sono tutti egualmente molto belli). Io gliel'ho data e non mi sono pentita ed è solo grazie a questo che ora sono qui, a scrivere di lui.

Tratto dal Caligola di Camus: I atto, IV scena.
I personaggi sono Caligola, imperatore romano, ed Elicone, servo e confidente dell'imperatore.

Elicone: Buon giorno Caligola.
Caligola: Buon giorno Elicone.
Elicone: Sembri affaticato.
Caligola: Ho camminato molto.
Elicone: Sì, la tua assenza è durata a lungo.
Caligola: Era difficile da trovare.
Elicone: Che cosa?
Caligola: Ciò che volevo.
Elicone: E che volevi?
Caligola: La luna.
Elicone: Che?
Caligola: La luna. Sì, volevo la luna.
Elicone: Ah, e per fare cosa?
Caligola: E' una delle cose che non ho.
Elicone: Sicuramente. E adesso È tutto a posto?
Caligola: No, non ho potuto averla. Sì, ed è per questo che sono stanco. Tu pensi che io sia pazzo.
Elicone: Sai bene che io non penso mai. Sono troppo intelligente per pensare.
Caligola: Sì, d'accordo. Ma non sono pazzo e posso dire perfino di non essere mai stato così ragionevole come ora. Semplicemente mi sono sentito all'improvviso un bisogno di impossibile. Le cose così come sono non mi sembrano soddisfacenti.
Elicone: E' un opinione abbastanza diffusa.
Caligola: E' vero, ma non lo sapevo prima. Adesso lo so. Questo mondo così com'è fatto non è sopportabile. Ho bisogno della luna, o della felicità o dell'immortalità , di qualcosa che sia demente forse, ma che non sia di questo mondo.
Elicone: E' un ragionamento che sta in piedi. Ma, in generale, non lo si può sostenere fino in fondo, non lo sai?
Caligola: E' perchè non lo si sostiene mai fino in fondo che non lo si sostiene fino in fondo. E non si ottiene nulla. Ma basta forse restare logici fino alla fine.
Elicone: Io so ciò che pensi. Quante storie, per esempio per la morte di una donna.
Caligola: No, Elicone, non È questo. Mi sembra di ricordare, È vero, che alcuni giorni fa È morta una donna che io amavo. Ma cos'è l'amore? Poca cosa. Questa morte non è niente, te lo giuro. Essa è solo il segno di una verità che mi rende la luna necessaria. E' una verità molto semplice e perfettamente chiara, un pò stupida forse, ma difficile da scoprire e pesante da portare.
Elicone: Ma, in fin dei conti, qual è la verità , Gaio?
Caligola: Gli uomini muoiono e non sono felici.
Elicone: Andiamo, Gaio, questa è una verità con la quale ci si può benissimo arrangiare! Guardati attorno; non è questa una verità che impedisca loro di mangiare, per esempio.
Caligola: Allora è che tutto attorno a me è menzogna. E uno che mangia carne così è un mentitore. E io voglio che si viva nella verità . Da imperatore voglio che si viva nella verità , e io ho proprio i mezzi per farli vivere nella verità , poichè io so ciò che manca loro, Elicone. Sono privi di conoscenza e manca loro un professore che sappia ciò di cui si parla.
Elicone: Non offenderti, Gaio, di ciò che ti sto per dire, ma dovresti prima riposarti un po'..
Caligola: Non È possibile. Non sarà mai più possibile: dopo aver viste queste cose non è più possibile.
Elicone: Perché dunque?
Caligola: Ascolta, Elicone, sento dei passi e un rumore di voci. Non parlare e dimentica di avermi appena visto.
Elicone: Ho capito.
Caligola: E, ti prego, aiutami ormai.
Elicone: Non ho ragioni per non farlo, Gaio, ma non so molte cose e poche mi interessano. In che cosa ti posso aiutare?
Caligola: Nell' impossibile.
Elicone: Farò del mio meglio.
***

Per saperne di più, potete consultare il sito della Camus Society, oppure seguire la pagina facebook dedicata all'autore.

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